Il presente e il futuro del Museo di Palazzo Collicola: intervista al direttore Marco Tonelli

Il presente e il futuro del Museo di Palazzo Collicola: intervista al direttore Marco Tonelli

di Davide Silvioli

 DS: Quale impronta vorresti dare al museo durante questo primo mandato da Direttore artistico?

 MT: Intanto posizionare il museo (che è l’unico museo civico di arte moderna e contemporanea con tanto di collezione pubblica in Umbria) sulla scena italiana comunicandone il valore delle collezioni e la bellezza degli spazi, sia di quello dedicato a opere moderne e contemporanee che del Piano Nobile. A un anno e mezzo dalla mia direzione scopro ancora che Palazzo Collicola non è percepito per quello che è in realtà: lo vedo dalla sorpresa che suscita la visita per chi entra la prima volta, e mi riferisco anche e soprattutto a spoletini.

Detto ciò, l’impronta è quella di un museo che propone linguaggi di quella che potremmo definire una “modernità contemporanea” e che non dimentica di chi è idealmente figlio (Leoncillo, Sol LeWitt, Alexander Calder, Premio Spoleto, Sculture nella città, Giovanni Carandente e via dicendo), innescando frizioni e dialoghi tra arte contemporanea e spazio storico.

  

DS: Quali criteri hai privilegiato per definire il nuovo allestimento della ricca collezione permanente?

 MT: Il criterio non è univoco. Spostando la collezione dal piano terra (dove era dal 2000, anno della sua inaugurazione) al secondo piano, abbiamo rivisto completamente il percorso secondo visioni museologiche più aggiornate. Le sale sono state disposte secondo criteri monografici (Calder, Pepper, Leoncillo, Scuola di San Lorenzo), cronologici, tematici (Spoleto 62, Premio Spoleto, Arte figurativa, Concettuale), tecnici (scultura, disegni e opere su carta), dando l’impressione di una varietà non riconducibile a un unico criterio perché la collezione ha origini diverse e ancora oggi viene implementata (sono state recentemente acquisite opere di Lo Savio, Franchina, Nunzio, Leoncillo, Di Stasio, Gandolfi, Notargiacomo, Cecchini e altre in arrivo) grazie a mostre e occasioni che stiamo continuamente favorendo.

 

 DS: Qual è la linea curatoriale che guida la scelta degli artisti protagonisti delle mostre temporanee?

 MT: Per certi versi quella di una continuità nella tradizione e nell’evoluzione dei linguaggi plastici. Loris Cecchini è un esempio di sperimentazione scultorea sulla scia delle ricerche tardo industriali di un Franchina o un David Smith ad esempio, Paolo Canevari è uno sviluppo in senso più politico delle provocazioni di Pino Pascali (presente in collezione con un’importante opera), Gianni Asdrubali (già presente in collezione) e Giorgio Griffa sono due pittori “astratti” di diverse generazioni che già 25 anni fa esposero a Spoleto e di cui abbiamo fatto o stiamo facendo un riepilogo con esposizioni antologiche. Le mostre di Notargiacomo, quella imminente di Ugo La Pietra, o quelle in calendario per il 2021 di Mark Francis o Giuseppe Penone testimoniano questa idea di modernità legata alle forme ma non formalista, legata ai contenuti ma non ideologica, in cui la presenza dell’opera è un fatto imminente, inevitabile, non effimero. Le mostre di Bruno Ceccobelli o quella prevista per il 2021 di Stefano Di Stasio indicano inoltre il non volersi rinchiudere nei soli linguaggi di “avanguardia” ma gettare un occhio anche a chi lavora su immagini e iconografie ben riconoscibili e più tradizionali.

DS: Credi che il museo possa impostare un dialogo costruttivo con la città? In che modo?

MT: Direi che se non riusciremo nell’intento qualcosa dovrà essere rivisto. Prima o poi la città, a qualsiasi livello, dovrà decidere se identificarsi con il suo museo più rappresentativo oppure no. Un museo unico nel suo genere: attualmente espone 9 opere di Calder tra standing mobile, sculture in filo di ferro e gouache (nessun museo italiano ha una sola opera di Calder), ha uno splendido wall drawing di LeWitt, una scultura pavimentale di Richard Serra, oltre a quaranta opere di Leoncillo (l’artista spoletino per eccellenza), senza contare la testimonianza della storia del Premio Spoleto e della sala dedicata a Spoleto 62 con bozzetti, sculture e foto di Ugo Mulas. Il dialogo è già in atto, forse manca ancora quell’azione di sensibilizzazione estesa che dovrebbe essere in carico anche agli organi amministrativi (sia comunali che regionali), che in fondo non dovrebbero fare altro che promuovere e veicolare ciò che hanno di più prezioso (pensiamo anche soltanto al recupero degli arazzi del 1700 di Maria Cristina di Svezia). Ma vedo che qualcosa si sta muovendo anche al buon lavoro svolto in questo anno e mezzo. La costituzione ad esempio nel corso del 2020 dell’Associazione degli Amici di Palazzo Collicola è un bel segnale a riguardo: il percorso dovrebbe essere a due sensi, non solo il museo che comunica con la città ma anche la città che sente il desiderio di comunicare con il museo.

  

DS: Quali pensi siano i punti di forza del Museo di Palazzo Collicola e quali gli aspetti da migliorare?

 MT: Il punto di forza è la collezione di arte moderna e contemporanea come anche il contenitore stesso (un palazzo nobiliare della prima metà del XVIII secolo) e poi gli spazi esterni, che se adeguatamente valorizzati (abbiamo anche un progetto in merito) permetterebbero alla città di entrare nel museo in modo più naturale possibile.

Il punto di debolezza è la mancanza di uno statuto che gli possa dare una dinamicità diversa più al passo coi tempi (penso a una fondazione ad esempio, che possa attrarre con più facilità e sveltezza risorse di privati), una mancanza di personale dedito esclusivamente alle attività del museo (penso a un organico con tanto di curatore delle collezioni e un ufficio di pubbliche relazioni addetto, al momento abbiamo acquisito un responsabile dei progetti scientifici quale Lorenzo Fiorucci) e poi ovviamente la mancanza di budget adeguati per fare comunicazione, per implementare i social, per poter programmare le attività senza dover ogni volta stare con le risorse contate o ben al di sotto di quanto realmente necessario.

E infine ovviamente l’assenza di punti di ristoro o di accoglienza più in linea con quelle che sono le strutture museali contemporanee (caffetteria, sala di lettura con connessione internet separata dalla Biblioteca Carandente e via dicendo).

Azioni che mi sono ripromesso di potenziare nel secondo triennio, dedicando il primo alla valorizzazione in senso culturale.

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